Maso tsara, tena maso

DSCF5253

C’è una fotografia sul tavolo. I colori sono sbiaditi, virano al seppia, l’inchiostro è rovinato dalla muffa, i bordi frastagliati. È la foto di una famiglia, o meglio di parte di essa. Cinque bambini che sorridono alla macchina fotografica tenuta in mano da un amico vazaha. Sono passati almeno una ventina d’anni dal momento impresso in questa fotografia. Alzo lo sguardo, e tre paia di occhi identici a quelli dei bambini ritratti mi stanno sorridendo. Tre tra i miei sette fratelli gasy mi passano altre fotografie, ridono e mi ringraziano, perché molte di quelle fotografie le ho scattate io, o le ho anche solo stampate per loro. Desy e Mamy oggi non ci sono, festeggiano la Pasqua con i loro figli, Laurence e Jeune sono con noi, anche se il resto di loro non appartiene più a questa terra. Mi trovo a ridere, con il cuore stretto. Mamatin, posso farne una copia per me? – Certo bambina.

Spesso arriviamo tardi, quando i sentimenti e le cose vissute sono ormai ricordi, allora ci sembra di capire. Capiamo il motivo degli sguardi, delle parole, delle grida, il motivo del dolore, dell’amore incondizionato che nasce inaspettatamente, dall’altra parte del Mondo. A me è bastato un attimo, un solo piccolo momento per capire che quella foto era importante, importante per me.

Per capire chi sono, le relazioni che ho instaurato in questi anni, il perché dei momenti di solitudine – mangina, raha tsisy Valerie – dei momenti di gioia incontenibile, della nostalgia, dei momenti stupidi, della rabbia, della paura. Gli occhi parlano, sorridono, ardono, inchiodano. Ti guardano, dentro e fuori. Se sei onesto, con gli altri e con te stesso, non serve altro. Ci metti la faccia, e la sbatti a volte, ma ce la metti. E gli altri ti vedono. Ti vedono davvero.

DCIM100GOPRO

Leave a comment